Partire dai Beatles per raccontare Luca Pugliese è intraprendere un viaggio lungo le piste, viniliche e sonore, tracciate negli ultimi cinquant’anni da una generazione attrezzata a raggiungere una visionaria terra promessa. In questo luogo verde, infinito e naturale, suoni e immagini si intrecciano ad altri linguaggi, in cui i codici genetici hanno origine nelle pagine del grande equilibrio che sovrasta nell’universo. Non importa se tali osservazioni risultano poco evidenti ad alcuni lettori, l’essenziale è constatare che il cammino di ricerca intrapreso porti a nuove possibilità di contestualizzazioni dei concetti già pronunciati con altre forme lungo questo percorso. Il punto d’accesso nel circuito è un’alternativa possibile tra le tante, una finestra di osservazione dettata dalla specificità di Luca Pugliese. La dinamica fluida delle trasformazioni e delle contaminazioni di genere ha origine nelle attitudini e nelle disponibilità intuitive che stabiliscono le condizioni di partenza. Vibrazioni sonore ascoltate nei dischi e sognate nelle copertine degli LP e dei 45 giri, sono i primi oggetti iniziatici utilizzati per cimentarsi nelle esperienze mediatiche dell’arte, dove si incontrano, in un ipotetico e fatalistico paradiso, musica, parole e immagini.
I riferimenti storici di questa cultura stanno anche nei versi e nei racconti dei colleghi cantautori, musicisti e artisti che in quella esperienza totalizzante hanno costruito ipotesi di paesaggi acustici e visivi. Una plurilettura sensoriale che invita al ritorno, alle radici popolari della cultura. Un rientro alla terra d’origine, favorito dall’osservazione del cielo e delle stelle, elementi planetari univoci e unificatori di tutte le culture e di tutti i popoli.
In questo orizzonte prospettico, coscienza sociale e conoscenza alimentano la convinzione che in fondo siamo tutti figli di una stessa matrice, avvolti in un abbraccio interplanetario e separati solo dall’egoismo umano, favorito da un esasperato consumo di simulacri mercificati dal sistema dei media. Viviamo in un’epoca in cui i simboli sono stati spogliati dalla forza dirompente e dalle energie positive sprigionate nei riti collettivi o individuali, e sono decaduti al rango di finzioni televisive tranquillizzanti.
Il progetto di comunicazione artistica di Luca Pugliese considera l’universo mediatico come condizione indiscutibile della contemporaneità, ma pone la salvaguardia della terra e della cultura al centro delle priorità dell’uomo. Gli studi universitari e la laurea in architettura, affiancati alle conoscenze e alle frequentazioni del mondo dell’arte, agli interessi per l’habitat naturale e all’amore per l’Irpinia, sua terra natia, gli consentono di allargare il campo delle osservazioni a più settori d’intervento. L’attrazione per l’etnologia e l’antropologia locale, influenzata dalle ricerche di Ernesto de Martino sulle culture locali, si associa all’idea popolare di partecipazione universale, che inevitabilmente trova nella multidisciplinarietà il metodo di espressione naturale per coinvolgere l’umanità nel progetto d’integrazione con la natura.
Reminiscenze della pop music ricondotte nella pratica del proprio tempo e traghettate nel contemporaneo tramite l’aggiornamento ritmico delle musiche e della ciclicità melodica. Le armonie libere e sinuose, disciplinate dalle continuità delle stagioni, sono segnalate nelle geometrie spiraliformi e nelle linee flessuose e svincolate dei segni grafici, tracciati nei quadri come scrittura iperattiva, aperta a molte interpretazioni.
La terra dell’Irpinia è la grande madre protettrice, dispensatrice di nutrimento materiale e spirituale. Da essa hanno origine gli alberi dalle radici profonde saldamente al suolo, con le chiome in crescita verso il cielo. Queste fanno il verso agli uomini, che camminano coi piedi per terra e osservano l’orizzonte lontano, punto di unione tra cielo e terra. Nei quadri di Luca Pugliese gli alberi assumono sembianze inaspettate. Nel loro fluire antropomorfico rinnovano il senso di similitudine con i popoli di quelle terre determinando condizioni uniche dell’apparire. La buona novella di Luca Pugliese germoglia condizionata dalla relazione uomo-natura. Il legno e la mano entrano in contatto giungendo a un rapporto empatico di totale integrazione, quasi a volersi confondere e annullarsi in una cosa sola. Il legno della chitarra viene impugnato, stretto tra il palmo della mano e le dita, accarezzato, picchiettato, pizzicato. Durante il rituale il collegamento magico con l’infinito è stabilito dai suoni fluidi, mossi da gesti ed emozioni liquide, plasmabili come segni che diventano antropomorfi. Immagini e passioni in trasposizione linguistica: da pensieri gestanti i sentimenti passano allo strumento chitarra, coniugandosi con la musica, che al contatto con l’aria vibra e percorre le distanze impossibili dello spazio tempo.
Il suono è il canale di interconnessione, prodotto per attivare corrispondenze traslitterate dall’uomo allo strumento ligneo. Un continuo divenire di circuitazioni infinite, di traduzioni e formulazioni simboliche differenti generate dallo stesso momento iniziale.
Questa è l’essenza raccontata da Luca Pugliese nei suoi dipinti. In realtà questi non sono dei veri e propri quadri ma dispositivi inventati per fermare e fotografare un momento unico, irripetibile, propagato verso tutti i possibili piani dell’esperienza umana diretta verso l’ascesi.
Una partitura per far risuonare l’attimo fuggente che in qualche frazione temporale si è manifestato come consapevolezza totale. Dentro le tele ci sono gli spartiti, con i suoni da sentire e da leggere nelle trame tessute dei fili lucenti e legnosi, intrecciati e volteggianti in una dimensione del tempo ultraterrena.
Un’opzione interpretativa dell’arte che nulla ha a che vedere con l’esperienza bidimensionale dei dipinti così come li conosciamo.
È un mondo a tre dimensioni, dove il quadro è solo uno strumento multimediale tra gli altri che servono a riprogettare l’universo delle emozioni. È questa l’accezione per interpretare l’intero sistema di espressione di Luca Pugliese, complesso e ordinato
da dispositivi differenti e linguaggi appropriati al mezzo utilizzato.
Le installazioni luminose ideate per la manifestazione “Terra Arte”, collocate tra le case e le strade di un piccolo centro abitato dell’Irpinia, mantengono gli stessi lineamenti rilevati nei quadri, ora intesi come tavole di un progetto architettonico e di vita collettiva da mettere in scena sulla superficie terrestre, dove l’etica dei valori è individuata nell’ambiente naturale e nel lavoro collettivo. Il tema dell’incontro vive di partecipazione e condivisione del mondo rurale. Il musicista, il pittore, il fotografo, lo scultore, l’architetto, sono titoli professionali che se pronunciati singolarmente non rendono l’idea dell’uomo e del carattere dirompente che agita Luca Pugliese. Le fotografie scattate fugacemente per catturare i momenti di vita quotidiana ci riportano alle cose semplici, a un modo di abitare il pianeta attento alle circostanze e ai dettagli dei tramonti e del paesaggio. L’odore del grano, dei fiori, il canto dei grilli e degli altri viventi che abitano la natura dell’Irpinia entrano nell’opera di ricostruzione del nuovo mondo e partecipano alla decostruzione del contemporaneo globalizzato. La festa sul prato, il concerto serale in mezzo ai campi, con migliaia di partecipanti impegnati a condividere il dialogo con gli artisti di “Terra Arte”, sono gli espedienti utilizzati per innestare sensazioni di percezioni multisensoriali. L’interpretazione di questa idea di rappresentazione del rituale è lontana da quella tecnologica e multimediatica a cui ci siamo abituati da quando l’elettronica e l’informatica sono entrati nei nostri spazi artefatti.
Le corrispondenze con le espressioni artistiche dei primi anni settanta sono evidenti ascoltando il brano Impressioni di settembre della Premiata Forneria Marconi (PFM), scritto da Mogol-Pagani-Mussida. La scena narrativa è la stessa: “Già l’odor di terra, odor di grano sale adagio verso me, e la vita nel mio petto batte piano, respiro la nebbia, penso a te. Quanto verde tutto intorno, e ancor più in là sembra quasi un mare d’erba, e leggero il mio pensiero vola e va, ho quasi paura che si perda...”.
L’atmosfera, la luce, l’impostazione surrealista delle immagini pittoriche è in sintonia con quella di Walter Mac Mazzieri, autore della copertina dell’album Uomo di pezza, pubblicato dal gruppo musicale di rock progressive Le Orme nel 1973, e con quelle del pittore e scultore Lanfranco Frigeri, surrealista mantovano che l’anno seguente, sempre per la stessa band, cura la copertina di Felona e Sorona. Influenze sensibili giungono dall’Inghilterra dei Genesis, quando ancora Peter Gabriel era leader assoluto della scena
internazionale e condizionava, con suoni e visioni, una generazione schierata contro il consumo indiscriminato delle merci e l’avanzare della cementificazione del territorio europeo, accelerata a partire dal secondo dopo guerra. Innumerevoli cambiamenti hanno segnato la storia del mondo. Le immagini, le parole parlate e scritte, quelle cantate, hanno contribuito a velocizzare le innovazioni dei sistemi sociali e hanno anticipato le nuove filosofie di vita, a volte rischiando l’incomprensione e l’ostilità del pubblico e dei critici. Questa è la coscienza e l’eredità rivoluzionaria che ci hanno lasciato in patrimonio i Beatles e quelli che insieme a loro hanno costruito una nuova possibilità di fruizione diversa dei media e degli strumenti di comunicazione di massa. Hanno dato a tutti la speranza e la possibilità di completare la propria evoluzione artistica e di trasfigurarsi nell’evoluzione generazionale, strettamente uniti alla gente, inscenando le loro aspirazioni al cambiamento nei testi delle canzoni, nelle melodie, nei videoclip, nelle copertine degli album. Un’eredità che Luca Pugliese ha accettato, puntando direttamente al problema: tornare a dialogare con le persone, elevare il livello di vita e di convivialità della società, ricordare ai colleghi e noi consumatori di immagini e suoni, che le finalità della musica e dell’arte vanno ben al di là del loro essere apparizione estetica. Il gesto passionale e generoso caratterizza i popoli che abitano i mondi a torto considerati periferici, ma che invece sono centrali, pilastri e fondamenta dell’evoluzione verso il futuro. Per Luca Pugliese è solo la ricerca delle origini, che potrà aiutarci a sollevare il nostro fardello e a portarci fuori dal labirinto sonoro e dei linguaggi nel quale siamo decaduti.
Nelle sue tele è possibile ravvisare la soluzione del problema, afferrare il filo di Arianna e affrontare il ritorno critico al passato in cui la nostra cultura è nata. Tra il lavoro nei campi e l’osservazione del cielo potremo conoscere le nostra genesi e capire perché nell’evoluzione abbiamo smarrito la strada per costruire il futuro.
Un azzeramento dei linguaggi obbligatorio per entrare in una nuova dimensione dove la terra e il suono primordiale non saranno cancellati dalla superfetazione dei saperi e della cultura e non rimarranno imbrigliati e mascherati dietro l’universo artefatto del le città e delle sue perdizioni. Ascoltare il suono e guardare i disegni di Luca Pugliese è come assistere a una performance liturgica che annuncia agli increduli che la lingua e la cultura della natura sono ancora vivi, nonostante il sistema televisivo e digitalizzato tenti di dirottare in fondo alle inutilità le verità profonde che l’ecoambiente ci propone in rassegna naturale.
È la scommessa di un uomo determinato quella che Luca Pugliese ci prospetta. Molti, non solo in Irpinia, confidano in lui, esaltati dalle imprese e dal coraggio delle proposte talvolta provocatorie, come quando, durante la discussione della tesi di laurea in architettura, ha imbracciato la chitarra sfidando la commissione a un confronto culturale che ben pochi altri avrebbero il coraggio di affrontare. Costruire trame, tessere tra i linguaggi apparentemente distanti, l’habitat e il benessere del pianeta è uno dei compiti che compete a chi progetta l’architettura. Benvenuto architetto.
* Text extracted from Luca Pugliese. Cosmo sonoro, edited by Serena Cuoppolo and Fortunato D’Amico, Skira, Milan 2010, pp. 15-23.